Artefiera Bologna – Una Nuova era per la Fotografia

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Autrice: Natalia Elena Massi
www.nataliaelenamassi.com

Un nuovo direttore, una fiera tutta nuova, un nuovo spazio dedicato alla fotografia. Tutto questo ed altro ancora ad Artefiera 2019.

ARTEFIERA BOLOGNA – Una Nuova era per la Fotografia

Cari Amici, ebbene sì, quest’anno ad Artefiera, la nostra amata fotografia ha potuto esprimersi in una sezione dedicata, ma non solo, molte sono state le gallerie che hanno inserito nella loro proposta anche la fotografia. Ci fa molto piacere perché, purtroppo, ancora oggi, per molti, ma non per tutti, la fotografia resta un’arte minore. Il nuovo direttore di Artefiera, Simone Menegoi, sembra invece crederci, e anche molto. Visitando i padiglioni si nota un certo fermento per la fotografia, con diverse gallerie della Main Section che, seppur timidamente, propongono anche fotografia affiancandola al loro filone d’arte principale.

Simone Menegoi ha introdotto un’importante novità in questa edizione che riguarda la scelta degli artisti per le gallerie, infatti, le stesse sono state chiamate a presentare una selezione ristretta di artisti (non più di tre per gli stand piccoli e medi, fino a un massimo di sei per gli stand più grandi).

L’intenzione del direttore artistico e del suo team è di privilegiare la specializzazione e l’approfondimento incoraggiando i galleristi a presentare progetti ambiziosi e implementare le mostre personali. E direi che c’è proprio riuscito. Rispetto alle precedenti edizioni, si nota una pulizia di presentazione. Per il visitatore è molto più semplice leggere e comprendere il significato delle opere approfondendo al meglio il lavoro degli artisti presentati.

Nel primo padiglione vengo immediatamente distratta da uno strano e interessante personaggio, già noto al pubblico artistico europeo per le sue performance, stiamo parlando di Carmine Caputo di Roccanova.

Carmine è un pittore, performer, scultore e architetto. Si muove tranquillamente tra le gallerie con appeso al collo un cartello “Cerco moglie”. Alcuni lo ignorano, altri sorridono, altri ancora sono incuriositi. Così mi viene voglia di approfondire il senso della sua performance. Il cartello recita: “Carmine Caputo di Roccanova (manierismo Geometrico) Cerca Moglie”. Non riesco subito a comprendere il nesso tra argomenti di natura privata e quelli artistici. Carmine ci racconta che sì, lui cerca una moglie, ma non è interessato ad una donna che accudisca alla casa, non è interessato alla classica compagna di vita, ma lui è in cerca del GRANDE AMORE.

Carmine racconta anche del “manierismo Geometrico” come una corrente artistica che ha inventato nel 2005, la quale si basa soprattutto sull’idea di mettere le note in calce alla pittura e a tutte le diverse forme d’arte. Lui sostiene che tutto è stato già prodotto e realizzato, nulla può essere creato di nuovo, si può fare solo qualcosa di personale. “Io faccio una pittura geometrica, ma quello che faccio è già stato fatto da altri. Dobbiamo citare le persone a cui ci ispiriamo”. 

Di questa corrente però non ci sono seguaci. “sono l’unico, quindi questo ha ancora più valore”.

E allora, quello che Carmine chiede alle sue aspiranti candidate per il Grande Amore è di condividere lui questo suo pensiero, il “manierismo geometrico” :-)

Dopo questa breve interruzione continuo il percorso e mi immergo nell’arte, la nostra adorata Arte. Ogni volta che mi trovo in luoghi dove si respira aria creativa, mi stupisco dell’effetto che produce su di me. Inizio a sognare, fantasticare, mi estraneo dalla realtà, mi immergo con i miei pensieri nelle opere. E qui ad Artefiera ne abbiamo talmente tante che il tempo scorre e non mi rendo conto di essere ancora solo ad 1/10 della visita a metà giornata. 

Ma entriamo subito nel vivo della Fiera, voglio raccontarvi alcuni dei lavori che mi hanno maggiormente colpita, prevalentemente fotografia, ma non solo.

Iniziamo con la Galleria Umberto Di Marino, che è lo stand che accoglie i visitatori in fiera nella sezione del contemporaneo, ci presenta tra le varie opere, il progetto Breaking Icons di Jota Castro, fotografie montate su cornice con vetro rotto. Jota Castro è nato a Lima nel 1965. Vive e lavora a Bruxelles. Castro è un curatore nonché uno degli artisti più

interessanti e attivi sulla scena attuale. Lavora indifferentemente con i mezzi della scultura, della fotografia, del video e dell'istallazione, realizzando opere di grande impatto civile, imperniate su tematiche sociali e politiche.

Il suo lavoro si caratterizza anche per l'umorismo, per il sarcasmo politicamente scorretto e per una vasta gamma di riferimenti, che tendono ad evidenziare alcuni meccanismi della società e in particolar modo gli squilibri, le debolezze e gli aspetti negativi che ne fanno parte.

 

 

Alla MAAB Gallery, Gloria ci racconta dei due artisti in esposizione, Vincent Beaurin e Marco Tirelli, accumunati dal loro lavoro sulle forme e da un’ottima sintonia nella ricerca. 

Vincent vive a Parigi. Per le sue sculture lavora esclusivamente con il polistirolo, vetro e resina. La sua è una riflessione sulla forma e sul colore. Sono forme riconoscibili, il sarcofago, gli animaletti o le “ocelle” colorate sulle ali delle farfalle. Forme che diventano irregolari per l’utilizzo delle scaglie di vetro che non permettono la definizione perfetta del perimetro. Tre opere della serie “ocelle” sono nella collezione permanente del Centre Pompidou a Parigi.

Marco indaga sulla forma con questi solidi geometrici, lavora sulla tridimensionalità e sulle presenze che appaiono. La sua arte sembra indirizzarsi verso l’interiorità della coscienza e lo spazio della meditazione.

 

 

La galleria KM0 ci presenta Antonio Ottomanelli un giovane fotografo che ha realizzato un lavoro sui luoghi degli attacchi terroristici.

il suo lavoro è rappresentato da fotografie e un’installazione. A terra l’installazione di casseformi, rappresentano le nazioni che hanno subito attacchi terroristici nel pianeta. Sono di diverse dimensioni, la più grande è l’Iraq e sta ad indicare l’enorme quantità di attacchi subiti. Le casseforme sono rappresentate allo stesso modo e con gli stessi materiali per comunicare la sua idea che il suolo pubblico mette tutti allo stesso livello, vittime e carnefici.

Le fotografie rappresentano i luoghi dove sono state posizionate le salme delle vittime degli attentanti, fotografandone il terreno ed il cielo sovrastante.

Sesto San Giovanni, Berlino, Nizza, sono alcuni dei luoghi scelti dall’artista per il suo lavoro

 

 

Alla GALLERIA MAGMA DI BOLOGNA incontriamo le opere pittoriche di Jan Kalab di Praga che ci presenta acrilici su tela con colori fluo. Assomigliano a tronchi di alberi tagliati che mostrano le loro stratificazioni.

Jan inizia come writer e da queste sue origini si porta dietro i forti colori, così pop che tanto ci colpiscono. Sono il suo segno, la sua cifra stilistica.

Il gallerista ci racconta che “l’artista, in quest’ultimo periodo si dedica all’uso della curva e arriva ad una tela che prima è compressa, forze ed energie centripete, che si lasciano andare trasferendo sui bordi queste forze ed energie con vibrazioni più sfumate o più stratificate. La stessa energia aggredisce anche i telai che da forme perfette le comprime, le allarga o le esplode.” E direi che questa forza è assolutamente visibile in tutti suoi lavori. 

 

 

La galleria MARCOROSSI ci presenta Rune Guneriussen un fotografo norvegese. Il suo particolare lavoro fotografico viene realizzato su lastra. La cosa interessante è che lui parte a monte da una scelta installativa. 

Nel silenzio rarefatto della natura della Norvegia, l'artista dispone lampade, libri, telefoni, sedie e altri oggetti di uso quotidiano, che metaforicamente risuonano come amplificate da un’eco.

Ogni immagine comprende il processo di creazione dell'opera, l’oggetto e la sua storia, lo spazio circostante e il tempo. L’esito finale è un affascinante connubio tra natura e oggetti, in cui questi ultimi si animano perdendo la loro connotazione di manufatto umano; questi dominano la scena diventando immutabili come gli elementi della natura circostante e trasformano il paesaggio da naturale in fiabesco. 

L’opera presentata qui ad Artefiera è un ritorno alle origini

Il gallerista ci svela che una sua immagine è stata scelta per la locandina per rappresentare l’edizione del MIA 2019

 

 

La proposta della galleria CARDELLI e FONTANA è dedicata al fotografo Luca Lupi con i suoi paesaggi urbani fotografati con un orizzonte bassissimo quasi a voler raccontare luoghi (New York, Tokio..)in cui anche l’affollamento umano e urbano ha sempre una via di fuga. Il cielo. 

 

 

La Galleria P420 di Bologna ci presenta Alessandra Spranzi. La sua ricerca artistica è legata alla fotografia, alla messa in scena fotografica, al riuso delle immagini fotografiche proprie e altrui, al collage e alla “fotografia di fotografie”.

Il suo lavoro parla di materiali poveri, le situazioni quotidiane, domestiche, gli oggetti obsoleti, i lavori manuali e i gesti che li accompagnano.
Attraverso questi strumenti e questi soggetti, appropriazioni e manipolazioni anche minime, l’artista non smette di interrogarsi sul mistero dell’esistenza e sulle forze fondamentali che determinano il nostro destino come quello degli oggetti e degli ambienti che ci circondano.

 

 

Entrando nella Galleria Poggiali di Firenze spicca tra le tante proposte quella di Fabio Viale per l’impatto visivo e fisico che hanno le sue opere che sono rivisitazioni di opere classiche. Fabio si contraddistingue per uno sguardo costante nei confronti della storia dell’arte e di una serie di simboli e immagini, appartenenti anche al quotidiano, che rimodula a suo piacimento. Fabio lavora con il marmo. Da un blocco grezzo, le sue mani modellano il marzo, fino a produrne delle imponenti sculture da cui vengono creati corpi tonici e muscolosi sottolineati da decine e decine di tatuaggi. Realizza mani, busti, corpi interi dove quei disegni si susseguono come dipinti fino a diventare tutt'uno con l'opera stessa.

 

 

La galleria AF DI BOLOGNA presenta Sergia Avveduti con i suoi collage su carta e la sua ricerca sulla reinvenzione del collage fotografico.
L’artista ricorre al collage fotografico come "dispositivo ottico" che potenzia la capacità della fotografia di rappresentare l’invisibile: i suoi prelievi d’immagini fotografiche da riviste di paesaggio vengono ricomposti creando un nuovo paesaggio, summa di tutti i paesaggi esistenti e di quelli sedimentati nel nostro immaginario. Nel suo lavoro il potere delle immagini della storia, la loro fisicità cartacea e vissuta, travalicano il senso d'effimero prodotto oggi dalle immagini digitali che, spesso, vivono solo per pochi istanti. 

 

 

Infine per concludere la giornata di visita ho partecipato ad una interessante tavola rotonda tenutasi ad Artefiera sulla fotografia.

 “Pensieri in fotografia. Il progetto fotografico nello spazio contemporaneo” coordinata dal curatore Francesco Zanot e Laura Moro (direttore IBC Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna), con interventi di Olivo Barbieri, Francesco Neri, Walter Guadagnini. Il talk intendeva indagare su come siano cambiati il processo e le dinamiche di costruzione di senso di un progetto fotografico. 

 

 

Laura Moro si interroga e ci pone questo quesito. “Personalmente ho un crescente disagio di fronte a molti progetti fotografici che mi sembra che nascano non da un reale interrogativo sul mondo o su un nostro stare nel mondo. Mi sembra un packaging che viene messo attorno a un prodotto. Un pack talvolta anche ben costruito per vendere il prodotto. 

Anche escludendo queste osservazioni, talvolta mi sembrano delle addomesticazioni della realtà, cercare di ricondurre a categorie note e denunciabili, l’abbandono, le migrazioni, l’inclusione… mi sembra un modo di addomesticare la realtà. 

In altri casi, il progetto ha lo scopo o il risultato, come una concettualizzazione del fare fotografico, uno strato di pensiero che si sovrappone alla fotografia. Molti di questi progetti mi sembra che abbiamo chiaro prima di partire l’esisto finale, una mostra, un libro, quindi la realtà non viene davvero indagata attraverso la fotografia ma offre materia visiva per un pensiero che è già costituito. Mi chiedo e chiedo a voi se: 

  • un progetto fotografico è un’indagine sul mondo, se possa quindi esistere questa equazione oppure se questo invece è limitativo e i due momenti possono essere tenuti separati, cioè l’indagine è una fase e la progettualità un’altra dimensione. Sono due atti del pensiero distinti
  • Che cosa spinge il fotografo ad aggiungere al fotografare un ulteriore strato del pensiero dato dalla cornice del progetto, dalla scatola del progetto.
  • Che cos’è che fa dire questo è un buon progetto”

 

E voi che ne pensate? Qual è la vostra idea e il vostro approccio al riguardo?
E con questo quesito vi lascio pensare e vi ringrazio per essere arrivati fino in fondo alla lettura.

 

 

 

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